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ARTICOLI SUL CONDOMINIO

1. PANNELLI FOTOVOLTAICI: ASSEMBLEA CONDOMINIALE NON PUÒ VIETARLI

[Fonte: Ance Foggia]

I giudici del Tribunale di Milano (sentenza n. 11707 del 7/10/2014) hanno ritenuto che, in tema di lavori sulle parti comuni del condominio, la nuova disposizione (articolo 1122-bis cod. civ.) introdotta dalle legge di riforma e in vigore dal 18 giugno dello scorso anno, relativa alla installazione di impianti di energia da fonti rinnovabili, deve essere interpretata nel senso che l’assemblea non può vantare un generico potere di veto.

Infatti, solo se la realizzazione dell’opera dovesse comportare modifica delle parti comuni, l’assembla può con una maggioranza qualificata (maggioranza degli intervenuti ed almeno i 2/3 terzi del valore dell’edificio) limitarsi a prescrivere adeguate modalità alternative di esecuzione dell’intervento, o ad imporre le opportune cautele a salvaguardia delle stabilità, della sicurezza o del decoro architettonico.

Del resto, lo stesso comma 3 dell’articolo 1122-bis impone al condomino di interpellare l’assemblea, per il tramite dell’amministratore, qualora le opere che intende eseguire comportino delle “modificazioni delle parti comuni” e solo in tale ipotesi l’assemblea è chiamata a deliberare. Resta fermo che l’intervento del singolo deve pur sempre essere eseguito “in modo tale da arrecare il minor pregiudizio alle parti comuni dell’edificio e alle unità immobiliari di proprietà individuale”.

Al di fuori di tale coinvolgimento, si applica l’art. 1102 c.c., secondo cui ciascun condomino può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, sicché, fermi i due limiti di cui sopra, senza instaurare il dibattito assembleare, il condomino è legittimato ad installare, in base all’art. 1122-bis c.c., un proprio impianto per la produzione di energia da fonti rinnovabili.

In fondo, l’art. 1122-bis c.c., concedendo la possibilità al condomino di installare pannelli fotovoltaici, senza la necessità di ottenere il preventivo consenso dell’assemblea, si pone sulla falsariga di quanto disposto dall'art. 1102, comma 1, c.c., di cui la prima norma costituisce un’ipotesi applicativa.

L’assemblea quindi non può negare, anche ad un solo condomino la possibilità di installare, sul tetto comune dell’edificio, i pannelli fotovoltaici.

 

2. RAMPE PER DISABILI: QUALI REGOLE IN CONDOMINIO?

[A cura di: Paolo Ciri - delegato UPPI]

È noto che la legge base, tutt’ora vigente, in materia di rampe per il superamento delle barriere architettoniche nei condomini, è la numero 13 del 9 gennaio 1989. Questa legge va interpretata in combinato disposto con gli articoli del Codice Civile che riguardano le innovazioni (1120 e 1121). Si prenda atto da subito che la legge 13/89 è stata in vigore per numerosi lustri (fino al 18/6/2013) nella vigenza della vecchia formulazione di questi due articoli del codice, poi riformati dalla legge 220/2012.

Il principio ispiratore della legge 13 (Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati”), socialmente molto apprezzabile, è quello di favorire l’accesso alle proprie abitazioni ai portatori di handicap. Come vedremo, la giurisprudenza ha esteso questo concetto alla deambulazione e socializzazione degli handicappati in ogni dove, e non solo nella loro casa di abitazione.

La 13/89 stabilisce, tra l’altro (art. 2 comma 1), che questo tipo di opere si approva, in assemblea, con un numero di voti piuttosto basso: un terzo dei partecipanti ed un terzo del valore (art. 1136 C.C. di allora). Ma c’è anche un’altra possibilità: in mancanza di delibera positiva, l’art. 2 comma 2 dà la possibilità al portatore di handicap di installare autonomamente alcune strutture (“servoscala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili”). Lo può fare senza delibera ed a proprie spese, e addirittura in deroga alla distanze legali (art. 3). Però, come detto, nel rispetto dell’articolo 1120 C.C. comma 2, e dell’articolo 1121 C.C., comma 3.

I limiti di questi articoli sono:

* la possibilità di uso successivo da parte di altri;

* la stabilità e la sicurezza del fabbricato (normalmente non compromessi dalla rampe);

* il decoro architettonico (da valutare in base alla sentenza di cassazione 18334/2012, che, in estrema sintesi, ritiene il decoro leso solo in casi davvero eclatanti);

* l’uso delle parti comuni a favore degli altri condòmini. A questo proposito, l’orientamento giurisprudenziale è che la inservibilità va interpretata come “sensibile menomazione della utilità che il condomino ne ritraeva secondo l’originaria costituzione della comunione” (vedasi Cassazione. 6109/94, Corte di Appello di Genova 27/12/97, Tribunale di Napoli 13/11/1991 e quindi Corte di Appello di Napoli 27/12/94, Tribunale Civile Termini Imerese 22/12/2008 ma poi, in maniera definitiva, la notissima sentenza di Cassazione numero 6109/1994).

Da ultimo, si consideri il principio giuridico introdotto dal Tribunale di Milano in più occasioni (19/9/1991, 14/11/91, 7/5/92, 26/4/1993) dal Tribunale di Firenze il 19/5/92,dal Tribunale di Napoli il 14/3/1994, dal Tribunale di Roma il 185/4/98 e poi definitivamente stabilito dalla Cassazione, seconda sezione civile, nella importantissima sentenza 18334/2012: “I condòmini devono venire incontro alle esigenze di socializzazione delle persone disabili e invalide, anche se non risiedono o non sono proprietari di appartamenti nell’immobile costituito in condominio. A tutti deve essere facilitato l’accesso senza barriere architettoniche”.

Non bastasse, è intervenuta anche la Corte Costituzionale (n. 167 del 10/5/99): “Impedire od ostacolare la accessibilità dell’immobile abitativo e, quale riflesso necessario, la socializzazione degli handicappati, comporta anche una lesione del fondamentale diritto di costoro alla salute, intesa quest'ultima nel significato, proprio dell’art. 32 della Costituzione, comprensivo anche della salute psichica, la cui tutela deve essere di grado pari a quello della salute fisica”.

 

3. PARTI COMUNI E MODIFICA DI DESTINAZIONI D’USO

Ho saputo che, a seguito della riforma del condominio, per deliberare eventuali modificazioni delle destinazioni d’uso di parti comuni volte a soddisfare esigenze di interesse condominiale occorre seguire particolari modalità di convocazione dell’assemblea. È vero? 

Sì, è vero. A norma dell’art. 1117-ter c.c. la convocazione per deliberare sulle modificazioni in questione “deve essere affissa per non meno di trenta giorni consecutivi nei locali di maggior uso comune o negli spazi a tal fine destinati e deve effettuarsi mediante lettera raccomandata o equipollenti mezzi telematici”, in modo da pervenire “almeno venti giorni prima” della data della riunione. La medesima convocazione deve indicare inoltre, a pena di nullità, “le parti comuni oggetto della modificazione e la nuova destinazione d’uso”.

 

4. LOCAZIONE DI SCANTINATO E SPESE DI REGISTRAZIONE

A breve concederò in locazione uno scantinato di mia proprietà e vorrei sapere se sia legittimo porre ad esclusivo carico dell’inquilino le spese di registrazione del contratto.

Sì. Per immobili del genere, infatti, la locazione è regolata dal codice civile (artt. 1571 e seguenti), con la conseguenza che le parti sono libere di ripartire le spese di registrazione nel modo che ritengono più opportuno.

 

5. APPARTAMENTO SEQUESTRATO: CHI DEVE PAGARE LE SPESE CONDOMINIALI?

 

D. Un appartamento è stato sequestrato da una banca con provvedimento esecutivo del tribunale e con consegna delle chiavi del suddetto da parte del proprietario all’incaricato del tribunale per la vendita tramite asta giudiziaria. Vorrei sapere a chi spetta pagare le spese di condominio? Al proprietario a cui è stato sequestrato l’alloggio o alla banca? Si precisa che l’appartamento viene venduto all’asta da una banca perché il proprietario non ha pagato le rate del mutuo e lo stesso ha dovuto lasciare l’alloggio libero. Quanto alle spese, si tratta di quelle ordinarie.

 

Risponde l’avv. Enrico Morello - resp. Centro Studi Agiai

 

R. Sino a quando la proprietà dell’alloggio ipotecato non venga trasferita con un decreto di assegnazione da parte del giudice dell’esecuzione, le spese ordinarie saranno a carico del condomino inadempiente, anche se di fatto toccherà a tutti gli altri condòmini farsene carico in proporzione ai rispettivi millesimi di proprietà. 

Una volta che l’alloggio sia stato assegnato, al condomino subentrante, quale codebitore in solido, potranno essere richieste le spese condominiali relative all’anno in corso e a quello precedente.

È poi anche possibile - e diversi Tribunali hanno ritenuto che sia una previsione corretta - che i regolamenti di condominio prevedano che la solidarietà del condomino subentrante non si limiti ai soli due anni previsti dalla norma ma riguardi tutta la morosità maturata dal condomino uscente.

 

www.quotidianodelcondominio.it/

 

  6. Sì al condizionatore sul muro perimetrale approvato con l’unanimità dei soli presenti all’assemblea

 

Alla delibera non servono maggioranze qualificate: legittimo per un minimo ingombro l’uso più intenso della cosa di tutti da parte del singolo. L’impianto non lede l’estetica nell’area di passaggio

CASSAZIONE  -  8857/15, pubblicata il 4 maggio

 

Il climatizzatore resta sul muro comune dell’edificio, anche se l’assemblea ha autorizzato il singolo condomino a lasciarlo dov’è con la sola unanimità dei presenti: la delibera è valida pur non essendo adottata con maggioranza qualificata, o addirittura l’unanimità dei condomini, perché deve ritenersi legittimo l’uso più intenso che il proprietario esclusivo fa della cosa comune rappresentata dalla parete del fabbricato che appartiene a tutti; d’altronde, l’ingombro dell’impianto risulta minimo e non si pone un problema di lesione al decoro del fabbricato: il condizionatore d’aria è sistemato in un andito di passaggio e dunque in una zona più periferica rispetto all’androne del palazzo, in un’area dove non si pone una vera e propria questione di estetica. È quanto emerge dall’ordinanza 8857/15, pubblicata il 4 maggio dalla sesta sezione civile della Cassazione.Stop atti emulativi
Niente da fare per l’avvocato proprietario di una serie di immobili nell’edifici condominiale: dovrà rassegnarsi alla presenza del condizionatore dopo che l’assemblea ha autorizzato il proprietario esclusivo a proseguire nell’uso dell’impianto. E ciò benché dal condizionatore pendano comunque i tubi per le acque di scarico raccolte in una vaschetta mimetizzata in un vaso di fiori. Inutile invocare l’articolo del regolamento condominiale che vieta l’occupazione, per quanto temporanea, di spazi collettivi: l’impianto risulta comunque amovibile e soprattutto non costituisce un pericolo o un intralcio per i residenti. Esce quindi confermata la valutazione della Corte d’appello secondo cui la facoltà ex articolo 1102 Cc.  può essere invocata dal proprietario esclusivo perché è «minuscola» la porzione del muro perimetrale occupata dall’impianto di climatizzazione. L’utilizzo più intenso della parte comune dell’edificio da parte del proprietario esclusivo deve essere rapportato alla funzione degli spazi condominiali. E va autorizzato quando non ne impedisce la fruibilità da parte degli altri condomini: altrimenti si finirebbe per legittimare azioni emulative da parte del singolo nei confronti della collettività (cosa invero non infrequente nelle controversie condominiali). Insomma: la delibera è valida perché risulta del tutto trascurabile l’incidenza materiale dell’uso esclusivo del muro comune da parte del singolo, visto che non sussiste un vero interesse contrario da parte degli altri. L’avvocato paga le spese e il doppio contributo unificato.

 

 

ARAI NEWS

 

PARTI COMUNI DELL'EDIFICIO - POTERE DELL'AMMINISTRATORE DI COMPIERE ATTI DI CONSERVAZIONE - INTERPRETAZIONE ESTENSIVA - CONSEGUENZE

L'art. 1130, n. 4 c.c., che attribuisce all'amministratore di condominio il potere di compiere atti conservativi di diritti inerenti le parti comuni dell'edificio deve essere interpretato estensivamente, rientrando nel novero degli atti conservativi l'azione di cui all'art. 1669 c.c., intesa a rimuovere i difetti di costruzione riguardanti l'intero edificio ed i singoli appartamenti (Cass. 18/6/1996, n. 5613; Cass. 19/8/2002, n. 12231).
Corte d'Appello di L'Aquila, sentenza n. 74 del 20-01-2015



DISCIPLINA CODICISTICA - APPLICABILITÀ - NUMERO DEI CONDOMINI - PRESUPPOSTO - ESCLUSIONE

In tema di condominio, l'esistenza del condominio e l'applicabilità delle norme in materia non dipende dal numero delle persone, che ad esso partecipano. L'espressione "condominio" designa infatti la proprietà comune concernente le parti dell'edificio di uso comune e, ad un tempo, l'organizzazione del gruppo dei condomini e la specifica fisionomia giuridica del condominio negli edifici si fonda sulla relazione che, nel fabbricato, lega i beni propri e comuni, riflettendosi sui diritti, dei quali i beni formano oggetto (la proprietà esclusiva e il condominio). Le norme dettate dagli artt. 1117, 1139 cod. civ. si applicano all'edificio, nel quale più piani o porzioni di piano appartengono in proprietà solitaria a persone diverse e un certo numero di cose, impianti e servizi di uso comune sono legati alle unità abitative dalla relazione di accessorietà.
Tribunale di Roma, sentenza n. 27, sezione Quinta Civile, del 19-01-2015



 

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